You worry about liberty / Because you’ve been denied. / Well, I think that you’re mistaken / Or then you must have lied. / ’Cause you don’t act like those who care / You’ve never even fought / For the liberty that you claim to lack / Or have you never thought. / To Seize the Time / The Time is Now / Oh Seize the time / And you know how...
E’ finalmente disponibile in dvd Seize the time (Afferra il tempo), il film culto degli anni Settanta girato da Antonello Branca, sul movimento delle Pantere Nere. Il film vinse nel 1971 il Premio di qualità dell’allora ministero del Turismo e dello Spettacolo. Il lungometraggio venne realizzato negli Stati Uniti, seguendo dall'interno il lavoro del Black Panther Party. L'impianto narrativo di Branca fonde abilmente i canoni del cinema di finzione e del cinema documentario. Nel cofanetto appena pubblicato (Kiwido - Federico Carra editore) anche What's happening? (1967), in cui il documentarista italiano ha raccolto i racconti di Andy Warhol, Allen Ginsberg, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg e Gregory Corso sull’America degli anni Sessanta, la Pop Art e la Beat Generation. A completare la pubblicazione, un volume con fotografie inedite e interventi di Nobuko Miyamoto, Antonello Branca, Italo Moscati e Elaine Brown. Per maggiori informazioni: www.kiwido.it.
Seize the TimeRegia, fotografia e sceneggiatura: Antonello Branca; Aiuto registi: Nobuko Miyamoto, Nico D’Alessandria, Raffaele De Luca; montaggio: Rossana Coppola, Luciano Benedetti; suono: Raffaele De Luca; musiche: Peppino De Luca; canzoni: Elaine Brown; interpreti: Norman Jacobs; origine: Italia, 1970; formato: 16 mm, bianco e nero/colore; durata: 90’; produzione: Enzo Porcelli per Filmakers Research Group
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Antonello Branca
Antonello Branca è stato uno dei documentaristi italiani più significativi degli anni 60’/’70. Nato a Roma il 15 maggio 1935, ma sardo di origine, è fotografo in Kenia a soli 24 anni. poi corrispondente da Londra per l’ Agenzia Italia. Il regista inizia qui il suo percorso di documentarista. I suoi film, oltre ad essere preziosi documenti storici, sono anche esemplari di un metodo innovatore. L’esordio è un reportage “diverso”: Aria di Londra (1961) realizzato con il fotografo Lorenzo Capellini. Per quattro anni Antonello Branca collabora con TV7, il programma d’informazione “cult” della seconda rete. Il suo servizio sul Vajont (1963), per primo denuncia le responsabilità umane del disastro. Il regista viene messo all’indice e allontanato per un lungo periodo dal programma.
Nel 1965, Mastroianni si racconta ad Antonello, che lo segue per mesi nelle sue attività. Il ritratto è completato da quanti hanno lavorato con lui: Vasco Pratolini, Federico Fellini, Giulietta Masina, Valerio Zurlini, Pietro Germi, Luchino Visconti, Jeanne Moreau, Sophia Loren. Nel 1966 Antonello si trasferisce negli Stati Uniti, danno vita ad un ricchissimo percorso di documentazione. In “What's happening ?” (1967) Robert Rauschenberg, Roy Lichtenstein, Allen Ginsberg, Andy Warhol, Fred Mgubgub, Marie Benois raccontano la loro America, la Pop Art e la Beat Generation. What’s happening? vince la Coppa Agis al Festival dei Popoli di Firenze del 1967. Nel 1968 Antonello gira “California”, un documento sullo stato più dinamico dell’Unione, in tre puntate. Tra queste "Il dissenso” che vince due premi al Festival d'Este del 1968.
Una canzone di Elaine Brown “Seize the time” ispira il titolo del film sul Black Panther Party (1970), un lungometraggio costruito con le Pantere Nere sulle condizioni di vita dei neri americani, la repressione, la resistenza organizzata del movimento. Seize the time vince il premio di qualità Ministero Turismo e Spettacolo al Festival di Pesaro del 1970. Nel 1976 egli documenta il diffondersi della droga a Milano attraverso il racconto di “Filomena e Antonio”. Nel 1977 narra le piaghe di Napoli. “Cartoline da Napoli” produce un piccolo terremoto politico e l’On. Gava in persona scende in campo contro il programma. Nell’89 Antonello Branca inizia una ricerca sul rapporto tra guerra e tecnologia che durerà quattro anni. Centinaia di interviste, la collaborazione di studiosi come David S. Landes, Nathan Rosemberg, l’apporto degli scienziati che costruirono la bomba A, hanno permesso di dare vita ad una trilogia, “Guerra e tecnologia”, che documenta il rapporto tra gli apparati militari e lo sviluppo economico degli Stati Uniti dalla nascita dello stato americano, alla fine del ‘700, fino alla guerra del golfo del 1991. Negli ultimi anni Antonello aveva iniziato a lavorare ad un progetto ambizioso: una storia “alternativa” degli Stati Uniti, di cui ci resta un articolato lavoro su “La grande depressione”.
La morte del regista interrompe questo percorso di ricerca il 25 giugno 2002.
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Scandaloso comportamento degli organizzatori del Festival di Venezia riguardo «Seize the time» di Antonello Branca - II film sul «Blak Panter», rifiutato per il suo contenuto politico La Mostra veneziana è cominciata e già apre una serie di interrogativi: il come, perché e quando delle scelte, dei film, dei registi. Come una mostra viene organizzata, come vengono scelti i film, come vengono aperti i canali dell'informazione è molto più importante spesso della manifestazione stessa. Certo è che, mentre in Italia e nel mondo si parla di ciò che si vede a Venezia, sarebbe più giusto parlare di ciò che non si vede, di ciò che non ha modo di raggiungere un « centro di potere », uno « strumento di persuasione », un « meccanismo del sistema cinematografico » quale la Mostra. Gli ostacoli sono molti: limiti politici, limiti economici, « pregiudizi » estetici, conservatorismo della cultura cinematografica, protezionismo nazionalistico, dominio commerciale eccetera. Sono problemi che non riguardano soltanto Venezia o l'Italia, ma tutta l'organizzazione del mercato cinematografico, di cui un Festival è un po' come un ufficio pubblicità. Per quanto invece riguarda la manifestazione attuale, ironicamente apertasi sul nome « eroico » di Socrate, possiamo dire che le domande da fare a Ernesto G. Laura sui criteri di selezione sarebbero davvero molte e potrebbero porre in discussione tutto. Al momento il caso che ci pare più scandaloso è il comportamento ambiguo ed il sostanziale rifiuto da parte degli organizzatori veneziani di un film come Seize the time del giovane Antonello Branca. Abbiamo visto il film: con un linguaggio sapiente, ma anche piano, persino didattico nella sua lucida informazione, parla dei « negri » d'America superando i limiti umanitari e progressisti della tematica antirazzista, passando attraverso l'impegno politico delle « pantere nere », giungendo ad un’analisi di classe dell'imperialismo americano, della società industriale fascista, della repressione sociale, della violenza continua e permanente, che le necessità produttive della fabbrica impongono alla totalità dei cittadini. Di questo film parlerà a suo tempo il nostro giornale dato che tra breve sarà presentato alla Mostra di Pesaro: giunge al momento giusto tra il pubblico italiano, ormai sensibilizzato alla problematica « americana » con film per diversi aspetti stimolanti come Easy Rider e Zabriskie Point. Ma crediamo possa dire qualche cosa di più « immediato », se non altro per l'uso che fa dell'immagine documentaria ed il vasto materiale informativo di cui dispone. Bene, questo film è stato visionato, ma in ultima istanza non accettato da Venezia. Laura, a quanto ci dice Antonello Branca, avrebbe voluto che risultasse di produzione americana, oppure relegarlo in un sezione informativa. Per gli autori del film, d'altro canto, se esisteva l'interesse di proiettare questo racconto-reportage politico ad una mostra di questo genere, era per utilizzare un canale di informazione, ormai sperimentato, a vantaggio di un discorso ancora da diffondere, e Laura, invece, lascia aperti soltanto i sottocanali informativi della sua manifestazione per i film, che danno troppo fastidio, o che non sono condivisi in nome della « vecchia » estetica, tanto vale rifiutare questo compromesso. C'è un altro fatto di estrema gravita, ed è Branca a farcelo notare, come già qualche giorno addietro Rosi in una sua intervista: Venezia, quest'anno, è sotto il dominio della televisione. E' la televisione infatti che produce gran parte delle opere italiane presenti a Venezia. Riteniamo, dunque, che esista uno stretto rapporto logico e politico-istituzionale, se non « storico », tra l'assenza (non c'è neppure bisogno di insistere sul « rifiuto ») di film come quello di Branca e il dominio economico della televisione. Sappiamo bene che i programmatori televisivi concedono grandi margini di autonomia alle sperimentazioni linguistiche dei giovani e vecchi registi, ma sappiamo anche che questi stessi pianificatori dell'immagine sociale praticano quotidianamente censure politiche e ideologiche sull'informazione. I telegiornali sono la perenne dimostrazione di tutto questo. E dunque l'assenza a Venezia dì opere di informazione politica firmate da italiani e il passaggio obbligato dell' « intelligenza cinematografica » dentro il meccanismo televisivo ci preoccupano. Al. Ab.
UN FILM ASSENTE A VENEZIA di Luigi Covatta
Agostoa alla mostra di quest'anno manca la rassegna delle cosiddette « Tendenze del cinema italiano ». Ma non se ne duole nessuno. Per una volta, facendo tesoro dell'unanime atteggiamento della critica, un'esperienza fallita è stata considerata tale e accantonata. Tuttavia, la decisione non è stata presa con estrema convinzione e fino all'ultimo minuto si è rischiato di vedere riproposta la sciagurata rassegna sotto un altro titolo. C'erano, infatti, alcuni film italiani che gli autori avrebbero voluto presentare alla mostra. Soltanto che la direzione non se l'è sentita di dare un dispiacere a Fellini, Rossellini, Bertolucci, Rosi e ha temuto di insospettire gli stranieri con inviti troppo generosi alla gente di casa. Così è nata l'idea di un ciclo di proiezioni non più confinate in una saletta minore e genericamente raccolte sotto l'etichetta dell'« Informativa ». I film avrebbero goduto dell'onore della sala grande e di un programma orario meno sacrificato che in passato (l'anno scorso il linciaggio del cinema italiano cominciava alle ventidue, linciaggio che scattava a causa della provocazione quotidiana, leggi basso livello e alte velleità delle opere). Ma gli autori hanno ascoltato chi li esortava a non accettare per non sottoporre il loro lavoro a un'inutile liquidazione preventiva e non hanno mandato i film, avendo accertato che Venezia acconsentiva soltanto a lasciare aperta una porticina di servizio. Tre di questi film sono: « L'amore coniugale » di Dacia Maraini, « Gulli-ver » di Carlo Tuzii, « Seize the time» (Afferra il tempo) di Antonello Branca. Ho avuto modo di assistere a quest'ultimo, che è un tentativo coraggioso e serio di entrare nel « mondo » dei Blacks Panters e ricava il titolo da una canzone politica. Branca ha realizzato diverse trasmissioni televisive sugli Stati Uniti: di un anno fa è una lunga inchiesta a puntate sulla California e ancora prima aveva girato un convincente documentario sull'arte pop nel momento in cui se ne discuteva e mancava una compiuta informazione al riguardo. In qualche modo, si può dire che l'America costituisce da tempo per Branca, che ha solo trent'anni, un campo di esplorazione e di studio inesauribile. È necessario, tuttavia, precisare che il giovane regista non si limita a fare da cronista o da attento analizzatore, gli preme quel che viene abitualmente definito un discorso di autore, cioè gli interessa esprimere non tanto una posizione falsamente og-gettiva sui temi e sui problemi di cui si occupa quanto un suo punto di vista personale. Quando certi obblighi dei committenti non si fanno sentire troppo, tiene a mettere in risalto una partecipazione attiva nelle inchieste, le avvicina nei significati alle sue scelte ideologiche e politiche. Come molti altri, Branca ha avvertito la problematica della cosiddetta contestazione ma, lo prova « Seize the time », non si è fatto travolgere da una spietata volontà autocritica verso il suo ruolo di regista. Cioè il riesame della sua collocazione in questa società portata a fissare dei compiti in nome di un sistema che decide, non gli ha prodotto quello scarico di lacrime e di pentimenti, di assicurazioni per il futuro e di buone intenzioni che nutre lo stato di frustrazione sterile di molti nomi del cinema, italiano e non. Ha ricevuto degli stimoli ed ha reagito ponendosi delle domande su che fare per assecondare il processo a una società governata sostanzialmente dal capitalismo. Probabilmente, è partito da una considerazione: oggi non esistono situazioni talmente particolari da non appartenere a una globalità storica in cui si fronteggiano la conservazione, pura o truccata, e la rivoluzione (vera o truccata). Parlando delle pantere nere non significa dimenticarsi, che so, dei drammi del Sud italiano più profondo; non significa lasciare da parte la centralità del dibattito sui nuovi sviluppi della classe operaia e sull'evoluzione del movimento studentesco. Posso, anzi, occuparmi delle pantere nere e cercare di presentare nella maniera più chiara ed efficace possibile, da una parte, una società che costituisce la punta più avanzata della organizzazione capitalistica e, dall'altra, una delle forze rivoluzionarie che potenzialmente, e non solo, possiede la carica sovverti-trice più violenta. È vero che esiste la componente del razzismo in più ma è ampiamente dimostrato come e perché la lotta delle pantere nere sia legata non da oggi alla lotta contro lo sfruttamento sistematico, contro la solidarietà bianca e nera nel medesimo sfruttamento, contro tutte le forme di oppressione che colpiscono le popolazioni del terzo mondo e le masse. Senza confondere le acque e senza eludere responsabilità dirette, un impegno politico valido attraverso il cinema si può, dunque, esprimere mettendo a profitto e approfondendo esperienze acquisite. Branca è tornato negli Stati Uniti con una macchina da presa e un tecnico del suono e vi si è fermato oltre un anno, non accontentandosi più di affacciarsi ma sforzandosi di vedere « dall'interno ». Il film è una specie di inchiesta drammatizzata imperniata su un giovane attore negro che da conto sia delle raffinate tecniche con generale, veritiere. Esse però sono appunto sociologiche, e non politiche, nella misura in cui prescindono dell'analizzare le ragioni di queste caratteristiche delle lotte nel sud, strettamente collegate al grado di maturità delle forze produttive nel mezzogiorno e al tipo di rapporti sociali che esse sviluppano. Altro è identificare nello stato la controparte in quanto sintesi degli interessi della borghesia, altro è trovarselo di fronte quale limite al corporativismo e al municipalismo, per esempio; altro è superare la lotta contro il singolo padrone, in ragione di una consapevolezza politica più alta per cui si identifica l'avversario da colpire nell'organizzazione politica dominata dal padronato, ed altro è ignorare il livello della lotta propriamente anticapitalistica, e sviluppare il rivendicazionismo anticentralista: quante leggi speciali per Napoli si siano ottenute, in questo modo, e quanto laurismo ne abbia tratto profitto, non sarebbe inutile ricordarlo. La conclusione del ragionamento dei valorizzatori dei « moti » reggini è ancora più pericolosa, in quanto, identificando genericamente nelle lotte delle masse meridionali, in ragione delle osservazioni « sociologi-che » di cui abbiamo detto, delle lotte « immediatamente politiche », si tende a svalutare con-seguentemente le lotte di classe delle zone industrializzate, in cui si scorge il vizio dell'economicismo, se non, addirittura, il rischio della integrazione al sistema. Non a caso, al recente convegno di « Lotta continua », le conclusioni riguardanti lo sviluppo delle lotte operaie sono state scarse, mentre si è insistito sul ruolo pedagogico che i giovani operai meridionali debbono svolgere ritornando in famiglia presso i compaesani. Può essere! una spiegazione psicologica, di questa tendenza: in fondo, la delusione subita dai « groupuscules » nella gestione dell'autunno e del dopo-autunno giustifica questo ritrarsi verso zone di proletariato ritenute — paternalisticamente — più vergini. Ma occorre chiarire anche le carenze ideologiche che emergono dal ragionamento. In fondo, non è la concezione della lotta che viene messa in gioco, ma quella della presa del potere: che è caratterizzata non tanto dal modo più o meno violento in cui si verifica, quanto dalla sua immediatezza. La presa del potere, per questi gruppi, non è un processo: è un momento preciso, identificabile, una specie di « ora X ». Il gioco delle egemonie non li interessa; la stessa dirczione politica delle lotte non li preoccupa, convinti come sono che in ogni movimento — anche in quello capeggiato dal vescovo, dal sindaco e dalla mafia — sia possibile inserirsi egemonizzandolo, se si ha la « linea giusta ». Non è un caso, a questo punto, che i gruppi non riescano a raggiungere mai un livello decente di collegamento e di autocoordinamento: essi, in fondo, abdicano a priori a una funzione strategica, e si riducono ad essere centrali di « rivoluziona-ri professionali » che rischiano di rifarsi più a una tradizione bakuninista che non a quella leninista alla quale, un po' esorcisticamente, si ama rifarsi. Se non è accettabile la generalizzazione operata dai « groupuscules », del resto, nemmeno le conclusioni un po' trionfali-stiche dello scritto di Reichlin sembrano soddisfacenti: non basta fare la pagella delle lotte di base alla presenza dirigente o meno del pci, specie quando si riconoscono le carenze della politica meridionalistica di questo partito. Occorre invece — con l'intento di individuare e di valorizzare la specificità delle lotte condotte dalle masse meridionali — individuare costanti politiche più vaste, facendo frutto delle esperienze recenti. Che non sono solo quelle munìcipaliste di Pescara e Reggio Calabria — o di Caserta — né le esplosioni di collera assai vicine alla jacquerie, come fu quella di Battipaglia. Che sono le lotte del lavoro, a partire da Avola. Che sono, soprattutto, le lotte civili che nascono da una lunga maturazione politica, come quelle in corso nella Valle del Belice. Non la rivendicazione municipalistica nei confronti del potere centrale — nella quale il massimo che può esprimere la lotta è una forma di pressione rispetto a un potere al quale si rimane estranei, ma l'esercizio diretto di potere alternativo, quale è quello esercitato ed argomentato dai giovani della Valle del Belice rifiutando di prestare le diverse corvée personali che lo stato esige. Intendiamoci: nessuno vuole proporre la generalizzazione di un'esperienza che ha caratteristiche peculiari. Quello che si deve generalizzare è la qualità della gestione politica della lotta: che nasce da un'analisi di classe della situazione e dalla conseguente presa di coscienza collettiva delle popolazioni, che sono così nella condizione non solo di autogestire la singola vertenza, ma di autogestirne anche il significato politico complessivo. In altri termini, il problema rimane, anche al sud, quello della diffusione di coscienza di classe e di conseguente autocoordinamento delle diverse forme di lotta, senza ritenere spontaneisticamente che basti far parte di una popolazione diseredata per essere parte del movimento progressista. Solo su questa base sarà possibile riannodare anche in termini strategici la solidarietà fra operai del nord e masse meridionali, che è il vero problema da risolvere. « La rivoluzione italiana o sarà meridionale o non sarà », ha scritto una volta Guido Dorso, ed è vero: ma è anche vero che non si avrà rivoluzione meridionale senza l'auto-organizzazione dei lavoratori del sud, senza la loro emancipazione dalle « protezioni » dei vari sindaci Battaglia e dei vari capipopolo socialdemocratici e fascisti.
IL CINEMA NEL MONDO
Il migliore dei recenti film italiani sull'America rimane senza dubbio il primo lungometraggio del "televisivo" Antonello Branca, realizzato con la cooperazione del partito delle "Pantere Nere".
"Afferra il tempo ", ovvero Seize The Time, è il titolo di una canzone scritta, musicata e cantata da Elaine Brown, una donna di colore militante nel Black Power Party, in cui ella assolve l'incarico di Minister of Information per la California del Sud. " Afferrare il tempo " significa divenire padroni della propria storia, far marciare il tempo secondo il proprio volere. A tale scopo la canzone da un solo suggerimento: " afferrare il tempo " vuoi dire nella fattispecie " afferrare il fucile " e rivolgerlo contro il nemico. Il bianco? Non necessariamente. Diciamo piuttosto il "nemico di classe ". " Dire che la razza e il razzismo sono la principale contraddizione fra schiavo e padrone, fra oppresso e oppressore, fra colonizzato e colonizzatore significa fare un'analisi unilaterale e soggettiva - dice Don Cox, un altro dei Panthers -; la logica conseguenza di questa analisi unilaterale sarebbe che, se il razzismo venisse eliminato, l'oppressione dell'uomo sull'uomo finirebbe immediatamente, e questa è una fesseria ". L'identificazione del razzista nel padrone, nell'oppressore, nel colonizzatore è una condizione necessaria ma non sufficiente. A monte del razzismo stanno il capitalismo e il suo cancro: l'imperialismo. Questo è il succo dell'opera prima di Antonello Branca (un regista televisivo, cui si debbono alcuni dei migliori servizi di TV7) che comincia con una metafora biblica (Adamo ed Eva neri disarmano il "serpente bianco ", lo abbattono a colpi di clava e ne ricoprono il cadavere con la bandiera a stelle e strisce) e finisce con un'immagine sia pure impegnata, e optarono per una milizia più concreta anche se, apparentemente, più modesta. Per comprendere meglio che cosa intendiamo dire quando parliamo di modestia, conviene paragonare "Afferra il tempo" con alcuni classici del neorealismo, come Sciuscià, Paisà e La terra trema.
Callisto Cosulich- Paese Sera 16 settembre 1970
L’Associazione Culturale Antonello Branca nasce il 14 febbraio 2003. L’acronimo ACAB evoca il nome del mitico capitano perennemente in lotta con la balena, rinnovando quel legame che ha unito Antonello Branca alla Moby Dick Movies, la società cinematografica con la quale ha prodotto e diretto la maggior parte dei suoi film. L’associazione conserva e promuove l’opera del regista Antonello Branca, attraverso la gestione del patrimonio d’immagini che costituisce il Fondo Branca, formato non solo dalla sua filmografia, ma anche dalla sua collezione di fotografie, libri e altri documenti cartacei, come soggetti, sceneggiature e progetti, che rappresentano il nucleo più corposo dell’Archivio. Il patrimonio audiovisivo dell’associazione costituisce uno strumento importantissimo di trasmissione di conoscenza in campo storico, sociologico, antropologico, sulla ricerca scientifica, sul rapporto tra tecnologia e guerra, sul processo di industrializzazione e sui grandi momenti che hanno segnato la storia del ventesimo secolo.
L’associazione si occupa quindi della conservazione, del recupero e della catalogazione di film, colonne sonore e documenti audiovisivi. È impegnata nel continuo ampliamento dell’Archivio, attraverso l’acquisizione di altri fondi cinematografici di diverso argomento, da temi sociali e antropologici, a opere di arte e scienza. Coproduce, inoltre, nuove opere audiovisive, in particolare promuovendo il lavoro di giovani cineasti e autori, a tutela del documentario sociale. Organizza e partecipa a seminari, rassegne cinematografiche, convegni e corsi di formazione, al fine di sostenere la crescita di nuove professionalità ne