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CinemAfrica
SEIZE THE TIME
01/04/2009
Sabato 15 marzo, Fuori Orario su Rai Tre ha proposto la prima parte di uno speciale a cura di Ciro Giorgini, Afferra il tempo: quarant’anni di Tv/Cinema di Antonello Branca, cineasta totalmente curioso. Un omaggio dovuto e non retorico, aperto dalla programmazione in prima visione televisiva di Seize the Time (1970), uno dei titoli più censurati della sua carriera di filmmaker indipendente, conoscitore profondo dell’America alternativa, dai circoli underground della beat generation (cui dedica What’s Happening, 1967) ma anche dell’Africa delle lotte di liberazione. Del Kenia ancora inglese, dove Branca era stato, giovanissimo fotografo, nel 1959. E soprattutto dell’Angola, dov’era stato fra il 1975 e il 1976, su invito dell’MPLA, a lavorare per il Dipartimento Informazione e Propaganda della televisione. You worry about liberty / Because you’ve been denied. / Well, I think that you’re mistaken / Or then you must have lied. / ’Cause you don’t act like those who care / You’ve never even fought / For the liberty that you claim to lack / Or have you never thought. / To Seize the Time / The Time is Now / Oh Seize the time / And you know how: sui titoli di testa in stile agit prop, così canta Elaine Brown, ex-ministra dell’informazione delle Black Panthers ed ex-candidata alle presidenziali 2008 per il Green Party. I suoi versi scandiscono gli andirivieni di un giovane nero (Norman Jacobs) per le strade di una California allora governata da Ronald Reagan: un road movie che è un vero e proprio itinerario - volutamente non lineare, libero e frammentario - di iniziazione politica al messaggio rivoluzionario del BPP. Memorabile, come sottolinea Enrico Ghezzi, la sequenza del colloquio di lavoro cui si sottopone il protagonista, interrogato dal selezionatore con la macchina della verità per appurare se sia o no comunista. Ma il cult movie di Branca è un piccolo scrigno di momenti d’antologia del dissenso. Penso alla sequenza, ambientata fra i pupazzi del Bread and Puppet Theatre di Peter Schuman, in cui Norman inizia la figlia Askia al messaggio di Malcolm X, proponendole una controlettura della storia USA, ma la piccola lo uccide simbolicamente proprio perché si comporta come un house nigger. All’incursione da happening per le strade di LA, con Norman matto da slegare che, imbracato in una straightjacket, provoca i passanti, invitandoli a liberarsi della camicia di forza interiore. All’ironico botta e risposta coll’insospettabile bibliotecario che verifica il suo curriculum studiorum sovversivo («hai visto tutti i film di Jean-Luc Godard?»). Fino all’inequivocabile finale, di provocatorio didascalismo, in cui Norman gioca con il figlio piccolo sul lettone e poi gli mostra come si pulisce un fucile. Sì, perché il Sistema uccide in pochi anni 28 membri del BPP, e altri 300 ne chiude in galeria, e «quando la lotta si sposta per le strade è la fine del fascismo costituzionale»: costruito su un’alternanza di bianco e nero e colore, sezioni parafinzionali e brani di repertorio, Seize the Time trova uno dei suoi momenti filmicamente più vibranti proprio nel racconto in presa diretta dell’omicidio del militante Bobby Hutton, ucciso a sangue freddo il 12 aprile 1968 dalla polizia di Oakland al termine di un assedio, condotto con tecniche antiguerriglia che preannunciano la strage del gruppo Move descritta dall’allora cronista Mumia Abu Jamal, rievocata nel recente Tutta la mia vita in prigione. La sequenza, con Angela Davis che riporta la testimonianza diretta dell’assalto, raccolta dal marito Eldridge Cleaver, è subito finita su You Tube. Ma non solo questa sequenza, ci auguriamo di rivederlo presto in un DVD magari curato dall’Associazione Culturale Antonello Branca, questo eretico film saggio, che Fuori Orario ha proposto in una smagliante versione restaurata dal Museo del Cinema di Torino, con sottotitoli italiani. Per almeno tre motivi. Per la libertà tutta rosselliniana del metodo di Branca, che salta fra immagini di repertorio, brani di cinema diretto e quadretti parafinzionali di taglio didascalico, sequenze di montaggio da road movie e interviste in piano sequenza e presa diretta. Per l’attualità di un discorso sull’endiadi razzismo/sfruttamento che, come evidenzia l’intervista rilasciata da Branca alla Mostra di Pesaro 1970, è sempre tragicamente attuale («Bisognerebbe parlare di sfruttamento e non di colore della pelle. Il colore è usato dagli oppressori per dividere la gente e sfruttarla meglio. E quando non è possibile, come in Africa, si inventa il tribalismo»). E come risarcimento della storia nei confronti di un film (in)credibilmente rifiutato dalla Mostra di Venezia, allora diretta da Ernesto G. Laura. Leonardo De Franceschi
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