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Alias - il manifesto

GIOLI: IL MAGO CHE FA I FILM SENZA MACCHINA DA PRESA

09/01/2010

GIOLI
Il mago che fa i film senza macchina da presa

Il cinema...verticale. Un libro + dvd sull’alchimista dell’underground, scopritore di un universo pulsante del desiderio che gioca con i nostri occhi avventurieri.

di Cristina Piccino

Il bimbo biondo si «sdoppia» sull’altalena. La ragazza, bruna e bella, guarda con un sorriso all’obiettivo, accovacciata in terra, nuda, su un tappeto. Accanto, un’altra se stessa, curva il capo lasciando liberi i capelli, il corpo svestito ricorda quello delle antiche modelle dei pittori…
Il metodo con cui è costruito Paolo Gioli, il cinema dell’impronta (volume e dvd, edizioni Kiwido col Centro sperimentale di cinematografia, a cura di Sergio Toffetti e Anna Maria Licciardello, euro 35.00) si fonda sulla necessità di realizzare un volume essenzialmente «visivo» nel quale la parte iconografica non è semplice illustrazione (immagini magnificamente stampate, tratte per lo più dall’archivio di Paolo Vampa) ma componente centrale del viaggio intorno all’artista.
Perché più che altrove esplorare il lavoro di qualcuno come Paolo Gioli significa non poter separare la riflessione dell’analisi dal suo universo immaginifico di luci, «farfalliii», sogni, folgorazioni, creature bizzarre, innocenza di un sesso aperto al mondo, che ne è anzi la dimensione privilegiata di approccio, forma sensoriale di un desiderio di cui si nutre lo sguardo del cineasta.
Paolo Gioli nasce a Sarzano di Rovigo nel 1942, frequenta l'Accademia delle Belle Arti di Venezia, e nel 1967 arriva a New York. È lì che incontra Paolo Vampa, da allora suo produttore, amico e complice di un'avventura artistica che continua ancora oggi. Gioli negli States scopre molte cose ma soprattutto la sua attrazione per le immagini, la fotografia e il cinema, e nel '68 quando torna in Italia realizza il suo primo film, e inizia le sue sperimentazioni in campo fotografico con la tecnica del foro stenopeico. Oggi Gioli continua a definirsi «un fotografo» - nell'intervista di Giacomo Daniele Frangipane, contenuta nel libro Se voglio svagarmi non vado al cinema, già ripubblicata nel catalogo della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro 2009 che a Gioli ha dedicato un omaggio e un volume che comprende l'intervento di David Bordwell «Paolo Gioli's Vertical Cinema».
Ma quel suo aspetto un po' «scapigliato», la conversazione colta di chi ama l'ironia paradossale, fanno pensare a un mago, a un'alchimista, allo scienziato che gioca sapientemente con la tecnica utilizzandone la conoscenza per allargare lo spazio delle possibilità di ricerca e sperimentazione e mai il contrario.
Nel dvd – sei titoli per un totale di 88 minuti – troviamo Tracce di tracce (1968), realizzato a partire dalle impronte della mano e del braccio destro su inchiostro di pennarello fresco, carta vetrata, timbri e altro, su una pellicola bianca e non emulsionata. Le immagini, senza sonoro, compongono un’associazione libera di forme e di colori sulla quale si possono proiettare – o riflettere – altre fantasie, le proprie, lasciando vagare l'occhio e il pensiero.
Probabilmente Gioli, di quel nostro underground accantonato negli anni da accademie e istituzioni - e dal cinema stesso che per questo oggi si dimostra così afasico visualmente - è tra i protagonisti che più lavorano sul passaggio di quelle «moving images» tra cinema, pittura, fotografia, poesia di un'immagine (immaginario) in continua tensione al movimento.
Guardando i suoi film – gli altri titoli nel dvd sono: Figure instabili nella vegetazione (1973); Finestra davanti a un albero (1989); Farfallio (1993); Volto sospeso al buio (1995); Anonimatografo (1972), dedicato al critico Alberto Farassino) viene in mente come riferimento più l'avanguardia degli anni Venti, seppure filtrata nell'esperienza e nella cultura dei decenni a venire, che quella degli anni Sessanta. Il Bunuel di Un Chien andalou, l'occhio lunare di Odilon Redon, la scrittura surrealista di Bataille, col sesso che lascia penetrare il mondo, e che nel suo cinema è la farfalla, vulva e insieme metafora di un vedere. L'«Anemic cinéma» di Marcel Duchamp, spesso citato da Gioli, il cui nome ritroviamo nel titolo di un film – Immagini travolte dalla ruota di Duchamp ('94).

Dice Gioli (cfr. la stessa intervista nel volume): «A me piacciono molto le cose laddove sono complicate, dove c'è una sfida. Ho fatto dei film togliendo l'otturatore dalla mia cinepresa e utilizzando degli otturatori esterni: ad esempio la mia stessa mano, o come nel caso del lavoro su Duchamp una ruota di bicicletta...». Film stenopeico e Immagini travolte dalle ruote di Duchamp sono contenuti, con altri 12 film di Gioli, in un doppio dvd Rarovideo, 2005.
Mala ricerca di Paolo Gioli persegue anche una purezza dell'occhio originaria e primitiva con la sua tecnica stenpoeica che elimina i filtri tecnologici, l'ottica e l'otturature, puntando sul ritmo della palpebra.Infatti il titolo «omaggio» a Dziga Vertov si chiama Film stenopeico - L'uomo senza macchina da presa (1973-1981-1989), realizzato con un apparecchio progettato dallo stesso Gioli che restituiva le immagini senza ottica e senza meccanica, libero quindi dalla macchina da presa.
Bardwell sottolinea la dimensione «verticale» del cinema di Gioli, i suoi fotogrammi in lunghezza ottenuti come le macchine stenopeiche erette, alte fino a un metro, che ribaltano la dimensione dominante orizzontale del cinema, il formato 4:3.
I saggi contenuti nel volume, da Dominique Paini a Bruno De Marino, Keith Sanborn, Elena Volpato, Jean Michel Bouhars, rivelano comunque una trama artistica che si snoda in moltissime direzioni, rapporti con altri universi, una ricerca colta come solo può essere la fonte di questa purezza allegramente ironica.
Gli occhi scuri di ragazza che guardano con limpida innocenza all'occhio dell'artista (Anonimatografo) ci dicono di una grazia incontaminata, di una gioiosa trasparenza che nella sua purezza mescola passi urbani e scene erotiche, molto frequenti nei montaggi di Gioli, bimbi che giocano, nudi maschili e corpi femminili, frammenti in continua trasformazione.
Le immagini, come dicevamo, sparse nelle pagine del libro, ci portano subito in questo universo pulsante del desiderio, ce ne rendono partecipi, qualcosa più che spettatori, quasi anche noi protagonisti, come se sfogliando un libro di fiabe chiudendo gli occhi venissimo catapultanti un qualche magnifica avventura. E insieme questo apparato ci rende visibili quelle relazioni osservate nei testi, l'idea di un cinema che spazia al di fuori di sé, si espande in ogni luogo possibile dell'immagine e del vedere.