CineClandestino
6 FILM DI PAOLO GIOLI
08/01/2010
6 film di Paolo Gioli non è un dvd che si trova in commercio. Per posare gli occhi su questi lavori di Gioli, tra i padri riconosciuti del cinema sotterraneo italiano (o underground, o d’avanguardia: ognuno utilizzi il termine che preferisce), si deve acquistare Paolo Gioli – Un cinema dell’impronta, mastodontico ed essenziale lavoro editoriale a cura di Sergio Toffetti e Annamaria Licciardello licenziato dal Centro Sperimentale di Cinematografia insieme alla Kiwido di Federico Carra. Un’idea davvero ottima, quella di legare alla pagina scritta la possibilità di ragionare a tu per tu con le immagini che il cineasta di Sarzano (Rovigo) ha avuto modo di modellare e creare nel corso dei decenni. Ventisei anni dividono Tracce di tracce (1969) da Volto sorpreso al buio (1995): ventisei anni durante i quali Gioli non ha mai smesso di interrogarsi sul senso della messa in scena e sullo studio dell’immagine, attraversando stili e approcci estetici, riprendendo a piene mani dai progenitori della sperimentazione (Duchamp e Buñuel, con dadaismo e surrealismo a fare breccia tra il corpus autoriale delle sue creature) senza mai però appiattire la propria indole su qualsivoglia prammatica cinematografica. I sei lavori che si possono reperire nel dvd sono i seguenti, elencati qui in mero ordine cronologico: Tracce su tracce (1969), Anonimatografo (1972), Figure instabili nella vegetazione (1973), Finestra davanti a un albero (1989), Farfallìo (1993) e Volto sorpreso al buio (1995). È ora probabilmente il caso di operare una piccola e pur incisiva precisazione: il nome di Paolo Gioli continua a essere ricordato in principal modo per la sua straordinaria esperienza fotografica. Le sue Polaroid, le sue ardite sperimentazioni fotografiche hanno senza dubbio rivoluzionato il senso stesso dell’arte; meno riconosciuto, nella maggior parte dei casi, è il ruolo svolto all’interno della macchina/cinema. Questi sei lavori, rappresentativi di tecniche e sperimentazioni tra le più diverse, rappresentano dunque un tassello di non poco conto all’interno di un percorso critico che deve necessariamente restituire a Gioli quel che è di Gioli. Per quanto anacronistico possa apparire, con la sua ossessiva ricerca dell’origine stessa del cinema, sguardo rivolto in maniera incessante al passato, ai primordi di un’arte di cui con ogni probabilità si è perso il motivo scatenante, lo stile di Gioli è il palesamento di una delle avventure autoriali tra le più coerenti degli ultimi decenni. Dall’impronta di Tracce su tracce, negazione stessa dell’impressione fotografica a vantaggio di un segno materiale, tangibile, che rivendichi l’esistenza dell’immateriale, fino alle lastre vecchie di quarant’anni dai quali si ricava Volto sorpreso al buio (in un’operazione che è per primo Gioli a definire “impossibile”), non vi alcun modo di assistere a uno slittamento di senso, a una pur impercettibile inversione di marcia. Il cinema di Paolo Gioli è lì, sempre uguale a se stesso eppur mai stancamente replicato, capace di lavorare di sottrazione, soffermarsi con paranoide persistenza sul particolare (Farfallìo mette in scena, nei suoi quasi otto minuti di durata, il cosiddetto flicker, vale a dire lo sfarfallio cinetico, fondendolo con lo sfarfallio delle farfalle), operare ardite e geniali sovrapposizioni di spazio e tempo girando a passo uno materiale di found footage (Anonimatografo, forse il vero e proprio film-saggio presente in questa raccolta, e senza alcun dubbio l’opera da cui conviene partire per una visione “neofita”), lasciarsi conquistare dalla geometria della psichedelia (le astratte immagini semi-stroboscopiche che animano Figure instabili nella vegetazione) per poi affidarsi a un figurativismo minimale e spiazzante (Finestra davanti a un albero, vero e proprio omaggio alle shadowgraph di William Fox Talbot). Perché a conti fatti la vera essenza del cinema di Gioli, perfettamente racchiusa in questa accurata antologia visiva, è rappresentata dalla sua innata e incorruttibile spinta all’animazione dell’inanimato. La sfida lanciata dalla sua arte è quella di rendere palpabili, visibili, materiali, tangibili, elementi che ai nostri occhi risultano immancabilmente sfocati, se non propriamente invisibili. Una sfida affascinante, che può probabilmente spiazzare e stordire lo spettatore poco avvezzo al mondo della sperimentazione ma che allo stesso tempo ha il dono unico di rapire l’occhio e irretirlo alla propria volontà. Raffaele Meale
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